Fotografia e Psicologia

Fotografia e Psicologia

Fotografia e Psicologia

Le origini

Negli ultimi anni si sono ampiamente sfruttate le potenzialità dell’uso della fotografia in ambito terapeutico, tuttavia la Foto-terapia non può essere considerata a tutti gli effetti una scoperta recente. Se è vero che il potere terapeutico della fotografia ha ottenuto un riconoscimento solo negli anni ’70, è altrettanto vero che le sue potenzialità furono colte già nel momento in cui fu messa al servizio dell’ambito medico-psichiatrico. I primi documenti scritti risalgono al 1856 e sono riferiti al Dr. Hugh Diamond, a meno di vent’anni dall’invenzione stessa della fotografia. Diamond, “fotoamatore” e direttore di un manicomio femminile per dieci anni, riporta come in alcuni casi la fotografia abbia contribuito al buon esito del trattamento ricevuto in manicomio.

Tuttavia la storia più recente della fotografia ad uso terapeutico inizia quando la psicologa e psicoterapeuta canadese Judy Weiser pubblica il suo primo articolo nel 1975, utilizzando la dicitura “Tecniche di FotoTerapia”. L’autrice aveva lavorato come consulente psicologica con dei ragazzi non udenti delle First Nations (termine usato in Canada per indicare i Nativi Americani) e in quest’occasione, per la prima volta, mise alla prova delle tecniche che utilizzavano fotografie con risultati impressionanti. Quando le venne chiesto di farsi venire in mente un titolo per questa strategia terapeutica, lei scelse “FotoTerapia”, e nel tentativo di sottolineare l’importanza di una coesistenza di queste due componenti, usò due lettere maiuscole.

Due anni più tardi, nel 1977, negli Stati Uniti appare una breve nota all’interno del magazine Psychology Today, in cui il terapeuta Brian Zakem (attivo presso il Revenswood Hospital Mental Health Center di Chicago) chiedeva alle persone che utilizzavano la fotografia in terapia o in lavori di consulenza di contattarlo. Quando più di duecento persone iniziano a rispondere, la Newsletter trimestrale di FotoTerapia diventa un proficuo mezzo di comunicazione con questa crescente rete.

Così, nel 1979, alla Northern Illinois University di Chicago ha luogo il primo International Phototherapy Simposium. Questo evento segna anche l’inizio della formazione di un gruppo di professionisti, operanti nell’ambito della salute mentale, che negli anni successivi daranno luce all’Associazione Internazionale di Foto Terapia, che rimarrà attiva dal 1983 al 1993.

Nel 1982, Judy Weiser apre il suo PhotoTherapy Centre, diventato poi una struttura base dell’insegnamento e della rete di contatti in questo ambito.

Negli anni’90 diversi psicologi di approcci altrettanto differenti iniziarono ad usare le fotografie nel proprio lavoro. Tra questi troviamo Rogers, promotore della corrente umanista, che utilizzò le foto come stimoli terapeutici; Moreno, padre dello psicodramma, il quale usava le foto come punto d’inizio per le sedute di gruppo; la psicoanalista Linda Berman, autrice del libro “La Fototerapia in Psicologia Clinica”, e molti altri.


Foto-terapia vs Fotografia terapeutica

In generale, si parla di Foto-terapia quando le foto sono usate all’interno di un più ampio rapporto terapeutico da parte di un professionista della salute mentale, come lo psicoterapeuta o lo psichiatra.

Secondo la Weiser le foto possono essere usate anche al di fuori del contesto terapeutico, definendo tale utilizzo come fotografia terapeutica. In questo caso la fotografia è utilizzata come momento di accrescimento e di consapevolezza. Un esempio di utilizzo della fotografia in questo senso può essere rappresentato dal lavoro fatto da Ayres Marques Pinto in diverse comunità psichiatriche, con il progetto “Foto-incoscio”, che ha coinvolto gli ospiti di una comunità psichiatrica in vari momenti del processo fotografico. In questo caso, il fatto di fotografare e la successiva esposizione delle fotografie ha fatto sì che gli ospiti della comunità psichiatrica prendessero contatto con determinate parti di sé ed emozioni.


La Foto-terapia e i processi proiettivi

Qualsiasi tipo di fotografia presenta informazioni incorniciate selettivamente e il fatto stesso di guardare una fotografia dà l’avvio in ogni osservatore ad un processo di tipo associativo ed emozionale. In tal modo chi osserva coglie un’unica realtà fra le tante possibili, contenute entro i confini di quella stessa fotografia.

I significati che la persona trova nella fotografia nascono nel momento in cui reagisce ad essa, osservandola. Quando interagiamo con una fotografia, così come con qualunque altra parte della realtà quotidiana, riceviamo una moltitudine di informazioni e inconsciamente scegliamo a cosa prestare effettivamente attenzione, e cosa ricordare. Queste scelte possono essere una rappresentazione della nostra struttura interna di valori che in qualche modo stabiliscono ciò che più ci interessa di quello che vediamo/percepiamo/sentiamo. Inoltre, questi valori possono, a loro volta, condizionare i nostri comportamenti, le aspettative e una serie di altri aspetti che usiamo per valutare noi stessi e gli altri.

Judy Weiser, pioniera delle tecniche di foto-terapia e direttrice del Photo-therapy Centre di Vancouver, durante i suoi workshop sulle tecniche di Foto-terapia, di solito procede disponendo su un piano di lavoro una serie di fotografie in bianco e nero, chiedendo ai partecipanti di osservarle e poi di sceglierne una in particolare. Mentre i partecipanti si apprestano ad osservare le fotografie, la Weiser introduce brevemente il tema della proiezione, intesa come quel meccanismo per cui ognuno proietta nella realtà che percepisce dei significati personali, legati alla propria storia, ai propri bisogni e allo stato d’animo di quel momento. Per tale motivo le persone vedranno nella fotografia scelta qualcosa che ha intrinsecamente a che fare con la propria vita, e molto probabilmente persone diverse vedranno nella stessa fotografia qualcosa di differente.

Le tecniche proiettive utilizzate nella FotoTerapia, così come intesa da Judy Weiser, presentano sia aspetti attivi sia passivi: la persona proietta, decodifica e decostruisce contenuti emotivi che derivano dall’aver interagito con l’immagine stimolo e, allo stesso tempo, la persona è aiutata a esplorare l’associazione e la costruzione di significati intorno alla medesima immagine, assieme ai sentimenti che percepisce. La componente proiettiva del comprendere il significato di una fotografia è alla base di tutte le interazioni tra le persone e gli scatti fotografici. In questo contesto, il compito del terapeuta è quello di utilizzare le immagini per imparare il linguaggio simbolico del paziente, per poi aiutarlo a comprendere cosa sta succedendo dentro di sé. Inoltre, la fotografia viene qui utilizzata non in senso artistico, ma come mezzo per una comunicazione di tipo più emozionale.

Le tecniche di Foto-terapia sono, quindi, pratiche terapeutiche che usano foto personali, album di famiglia oppure foto realizzate da altri (insieme a tutto ciò che queste foto evocano), come veri e propri catalizzatori per approfondire la comprensione e migliorare la comunicazione, verbale e non verbale, durante le sedute di terapia.

“Le fotografie sono orme della nostra mente, specchi delle nostre vite, riflessi del nostro cuore, memorie sospese che possiamo tenere in mano, immobili nel silenzio – se lo volessimo, per sempre. Non solo testimoniano dove siamo stati, ma indicano anche la strada che potremmo forse intraprendere, che ce ne rendiamo già conto oppure no…”

Judy Weiser (PsicoArt n.1. 2010)

Per approfondire:

 

Giulia Simone

Sono psicologa e psicoterapeuta espressiva specializzata in arte terapia e lavoro con bambini, adolescenti, gruppi e adulti. Mi occupo di consulenza e sostegno psicologico in molteplici ambiti (relazionale, familiare, scolastico e genitoriale), percorsi di psicoterapia e conduzione di gruppi di arte terapia. Nel mio lavoro includo l’utilizzo di materiali artistici per favorire l’attivazione del proprio processo creativo e sfruttare il potere insito nello sviluppo della propria creatività.

By | 2017-11-17T16:03:48+00:00 novembre 14th, 2017|

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